anime senza
2012-2013
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anime senza |
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'Madri' - Installazione (plastica - vetro - ferro - ceramica) |
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Al Museo Campano di Capua, si ammirano le possenti statue in tufo
delle Madri del II secolo a.C.: simulacri raffiguranti una donna seduta, avvolta in ampi panneggi sotto cui sono tratteggiati seni rigogliosi, simbolo di prosperità. Reggono tra le braccia un numero variabile, ma sempre cospicuo di infanti. Alcune addirittura dodici! |
Testo critico di Mario Franco
Conosco e apprezzo Gianluigi Gargiulo per le sue foto che dagli anni
Settanta ad oggi documentano volti, luoghi e situazioni di Napoli. Con
un pizzico di civetteria, Gargiulo si definisce “un ingegnere prestato
alla fotografia”, che è un modo per sottolineare un diverso approccio al
mondo - sempre più schizofrenico e ambiguo - del mestiere del fotografo,
in un momento che ha mutato profondamente i modi di produzione e di
fruizione dell’immagine fotografica, dell’informazione a essa connessa e
degli altri ambiti legati alla ricerca formale e alla sua conseguente
valenza artistica. Il ruolo del fotografo è dunque cambiato? Oppure è
ancora quello di documentare, usare e scoprire nuovi linguaggi, non
lasciarsi intimidire dalle nuove opportunità che ha a disposizione? Il
panorama si è allargato ed è stato rivoluzionato dall’avvento del
digitale che ha moltiplicato in maniera esponenziale la registrazione
dell’insignificante, ogni dettaglio dell’esistenza quotidiana o della
vita intima. In un mondo saturo d’immagini cosa fa “un ingegnere
prestato alla fotografia”, ovvero un fotografo di avvenimenti che ha
costruito la sua ricerca linguistica ed il ritmo dei suoi video con la
precisione di un ingegnere? Parafrasando Lacan potremmo rispondere che
la funzione del linguaggio non è quella d'informare, ma di provocare.
Nel senso letterale del termine, inteso come pro-vocare, ossia “chiamare
fuori”, “chiedere che si faccia presente”. Provocare è la parola che più
si addice per illustrare il complesso rapporto tra arte e pensiero. E
Gargiulo con “Anima senza”, infatti, provoca. Sostituisce al corpo umano
un manichino senz’anima e, invertendo i termini,
rivela che nella vita c'è un senso morale che l'uomo non può esimersi
dal considerare.
Il manichino è un simulacro, una protesi su cui poggiare un vestito, una
sostituzione virtuale dell’uomo e, proprio per questo, ha un valore
erotico: non diversamente Rick Deckard fa l’amore con l’androide Rachel
nel “Blade Runner” di derivazione dickiana. Questa valenza erotica (una
versione del piacere che pare amplificata dalla sua stessa
intangibilità) che Gargiulo ha in passato sperimentato alternando carne
umana e manichini, fa venire in mente alcune performance dell’arte
contemporanea, incline a raccogliere fermenti associati allo sfogo
sociale, soprattutto alle ambiguità di una re(l)azione che oggi pare
dilaniarsi tra ribellione e accettazione, possibilità di contatto e
claustrofobia della gabbia digitale.
La fotografia è “arte della superficie”, in essa ciò che c’è da dire
sembra subito manifestarsi allo sguardo. Ciononostante, la fotografia è
arte temporale e dell’evocazione può fornire un senso univoco o ambiguo
e oscuro. Ci viene data, così, la possibilità di “vedere oltre il
tempo”, che è un’esperienza del tutto particolare, situata in una terza
dimensione del pensiero, dove gli accadimenti visibili in superficie
lasciano presagirne altri, che sono “accadimenti nel significato”. Per
questo, “Anima senza” non è solo il titolo fortuito di una mostra, ma
una dichiarazione di poetica, un atteggiamento filosofico volto ad
operare una decostruzione della tradizione fotografica e personale in
nome di una libera interpretazione dei significati prodotti da immagini
allusive. Non si tratta di una facile critica volta a rifiutare un
presente “senz’anima”: piuttosto si tratta di non cedere alla tentazione
di un facile sociologismo dogmatico, per parlare con immagini, accurate
nei loro contrasti cromatici, precise nelle ambientazioni surreali,
scomode nel valore di una imprecisa metafora.
Mario Franco |