Spunto per un’analisi socio-politica di un quartiere:
"NAPOLI - S. ERASMO AI GRANILI”
Fotografie realizzate nel 1972-1974 da Gian Luigi Gargiulo
in collaborazione con il Comitato di Quartiere.
(responsabile Comitato Enrico Cardillo)
leggi in fondo la Presentazione di Enrico Cardillo
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1972 - 1974
"NAPOLI - SAN ERASMO AI GRANILI” Presentazione di Enrico Cardillo “Una delle cose da vedere a Napoli, dopo le visite regolamentari agli Scavi, alla Zolfatara, e, ove ne rimanga il tempo, al Cratere, è il III e IV Granili, nella zona costiera che lega il porto ai primi sobborghi vesuviani. …….In ognuno di questi locali sono raccolte da una a cinque famiglie, con una media di cinque famiglie per vano…..Quando tre, quattro o cinque famiglie convivono nello stesso locale, si raggiunge una densità di venticinque o trenta abitanti a vano……. Il III e IV Granili non è solo ciò che si può chiamare una temporanea sistemazione di senzatetto, ma piuttosto la dimostrazione, in termini clinici e giuridici, della caduta di una razza…… Solo una compagine umana profondamente malata potrebbe tollerare, come Napoli tollera senza turbarsi, la putrefazione di un suo membro, ché questo, e non altro, è il segno sotto il quale vive e germina l’istituzione dei Granili. Cercare a Napoli una Napoli infima, dopo aver visitato la caserma borbonica, non viene più in mente a nessuno: Qui, i barometri non segnano più nessun grado, le bussole impazziscono. Gli uomini che vi vengono incontro non possono farvi nessun male: larve di una vita in cui esistettero il vento e il sole, di questi beni non serbano quasi ricordo. Strisciano o si arrampicano o vacillano, ecco il loro modo di muoversi. Parlano molto poco, non sono più napoletani, né nessun’altra cosa”. Così Anna Maria Ortese nel 1953 raccontava una faccia significativa del mio quartiere: S.Erasmo ai Granili. Quartiere che, come tutta la zona industriale e portuale, aveva avuto ferite devastanti dai bombardamenti dell’ultima guerra. E dal Ponte dei Francesi, passando per quello che scheletrito rimaneva in piedi della Caserma borbonica dei Granili, della fabbrica dell’Ischirogeno, della Caserma Bianchini, fino a ridosso di Piazza Municipio, era tutto un susseguirsi nel dopoguerra di migliaia e migliaia di baracche. Un grande ventre di viscere miserabili in cui senzatetto e disoccupati sopravvivevano in condizioni disumane e nell’indifferenza dell’ ”altra Napoli”. Occorsero quasi 25 anni di lotte ed attese affinché le istituzioni dessero loro un alloggio dignitoso nei nuovi quartieri di edilizia economica e popolare. Ed alla fine degli anni sessanta S.Erasmo ai Granili si ritrovava ancora con i suoi 20 mila abitanti senza scuola materna, elementare e media pubbliche; il 20% dei bambini iscritti alla prima elementare, lontano dal quartiere, che non prendevano la licenza, e di quelli che proseguivano il 30% non conseguiva la terza media. E il 95% dei bambini che evadevano così massicciamente l’obbligo scolastico erano, ovviamente, figli di operai, precari e disoccupati. A S.Erasmo ai Granili dei circa 20 mila abitanti il 60% erano operai ed il 15% disoccupati. Ma per i loro figli non c’era scuola pubblica. Eppure, nel quartiere di scuole ce ne erano ben due. Ma private, una religiosa ed una laica con rette da 7000 lire al mese. Ecco come “semplicemente” in un quartiere periferico di Napoli il diritto universale alla istruzione non era uguale per tutti ma frutto della condizione sociale. Era così che gran parte di noi ben presto veniva allontanato dalla scuola e consegnato subito al lavoro la cui prima faccia era, appunto, minorile. E’ per opporsi a questo scippo sociale ed a questa “discriminazione di classe” che verso la fine degli anni sessanta avviai con pochi compagni di strada coraggiosi ed un gruppo di ragazzi straordinari il Comitato di Quartiere e la Controscuola di S. Erasmo ai Granili. Nel giornalino periodico che facevo con i ragazzi e che la domenica si vendeva in piazza, in una pagina ingiallita, rivolgendosi agli insegnanti della scuola pubblica, è scritto: “voi non ricordate i nostri nomi perché ne avete bocciati tanti. Noi vi pensiamo spesso e pensiamo spesso a quell’istituzione che chiamate scuola, ai ragazzi che respingete e dimenticate. Tutto quello che leggerete su questi fogli è stato scritto dai vostri rifiuti. Continuerete a pensare che l’importante è scrivere monte bianco con la lettera maiuscola?” Fu una straordinaria esperienza di alfabetizzazione per decine di ragazzi grazie ad improvvisati “maestri di strada”. Alfabetizzazione vera e propria, imparare a scrivere e leggere. Gioire con i segni della propria firma prima sconosciuta. Ma, soprattutto, scuola aperta alla società, al lavoro manuale, al valore della conoscenza, della critica; avere coscienza di essere persone e, quindi, non limitare i sogni, le aspirazioni, i diritti. Con quei protagonisti (ragazzi, operai, giovani universitari volontariamente impegnati nel sociale) dicevamo “vogliamo fare contro scuola per fare dei vostri figli e di noi tutti gente critica, non più disposta a sopportare”. Il messaggio che passò nelle coscienze di quelle persone fu che ognuno di noi doveva essere protagonista del proprio futuro per conquistarsi uguali diritti di cittadinanza. E tutti capirono che questo protagonismo non poteva risolversi solo con il voto o delegando ai partiti. La piazza del quartiere, il porta a porta, lo scantinato dove vivevamo l’esperienza del Controscuola e del Comitato di Quartiere furono per tanti di noi il palcoscenico di una grande storia umana, sociale, civile, politica e liberatoria. Ed insieme raccontammo all’intero quartiere che se si nasce uguali, bisogna anche ribellarsi quando l’uguaglianza nel godere diritti ed opportunità è negata. I ragazzi si appassionarono e parteciparono alle iniziative per rendere liberi il Vietnam, l’Angola, il Brasile e tutti i luoghi in cui non c’era libertà per l’uomo. E si identificarono nelle esperienze di quanti in altri quartieri marginali a Napoli si organizzavano per il diritto alla scuola, il lavoro, la casa, la salute. Ed appresero con gli operai, che condivisero quell’esperienza, il valore del lavoro, delle lotte per conquistarlo e difenderlo. E la domenica in piazza eccoli al comizio, animare un volantinaggio, una mostra mercato dove mostrare e vendere i loro lavori manuali e denunciare la condizione del lavoro minorile, delle abitazioni degradate. Sono davvero esistiti questi piccoli giganti che sfidarono il destino e sono qui fissati dagli scatti di un fotografo curioso e compiaciuto del tentativo di riscatto. Manifestazioni, lotte dure con mamme in prima fila; donne impegnate a dare scuola pubblica a migliaia di bambini. E poi, le immagini dell’arrivo della scuola pubblica nel quartiere. Nel 1970, la questione abitativa, nonostante la demolizione delle baracche, rimaneva ancora drammatica per quanti continuavano a vivere in tuguri senza dignità. Ancora baracche o abitazioni che non avevano nulla di umano in via Cancello di Franco ed a ridosso del Ponte della Maddalena. Ed allora: lotta per la casa! E fu lunga e vincente. Stessi protagonisti: bambini, donne, disoccupati e lavoratori convinti che il destino non è indifferente al proprio agire quando si tratta di diritti. Ed anche per loro venne il giorno dell’assegnazione di un alloggio pubblico, frutto di lotte serrate. Sono storie sconosciute e straordinarie. Non esistono pagine in cui è possibile riscoprirle, riviverle. Ma sono esistite e sono state grandi storie, fatte da gente semplice che ha preso il proprio destino nelle mani. I loro nomi, i loro volti non diranno molto ma è certo che quelle persone decisero che la dignità doveva essere uguale in tutta Napoli. Vollero uscire dall’ombra dotandosi del sillabario dei diritti. Ed ebbe il sapore di libertà, di protagonismo collettivo. Ed in tanti compresero che ai diritti negati si risponde con l’azione. I sogni collettivi divennero realtà. Enrico Cardillo (2010) |